Bella? Brutta? Commenti che chiunque metta sul tavolo una stampa si ritrova sulla schiena. Ma saran commenti poi?
Due ore trascorse ad aspettare che la luce ribatta su un pezzo di vetro rotto, all’interno di una nicchia in ombra, circondata da detriti in stile foto urbex, tutto per poter mettere su carta un lavoro concettuale atto a dimostrare che c’è speranza in fondo ad ogni cosa e… “Bella.”, “Brutta.”, se uno è fortunato, per amor di originalità, “Orribile.”. Faccio notare il punto posto alla fine del commento. E’ il massimo di enfasi che nove volte su dieci viene elargito, nonché tranchant. Si chiude lì, null’altro da dire.
Per carità, niente di male, in particolare personalmente apprezzo già chiunque abbia la capacità di trovare il coraggio per mettere sul tavolo di fronte ad altri, magari sconosciuti, il frutto del proprio sguardo trasmutato su carta. E sopravvivere ai commenti, soprattutto se il presentatore è come me, cioè una persona che parla più volentieri con la macchina fotografica o lo schermo di un computer (timidezza o sociopatia? a buon cuore di chi legge), piuttosto che con altri esseri umani, figuriamoci gli sconosciuti: terrore. Di certo, se la mostra del lavoro raccoglie semplicemente un rosario di “Bella.” o “Brutta.” si può sostenere. Però…
Però. Un fotografo, senza nessun tipo di acrimonia da parte del sottoscritto, ha sempre nell’anima una punta di narcisismo. Non mettiamola su un piano negativo. Per molti è proprio quella piccola scintilla che regala una goccia di spavalderia atta a presentare i propri lavori. Purtroppo questa ammirazione di se stessi ha un risvolto quantomeno curioso: non basta il bella o brutta, vogliamo (io sicuramente) un commento articolato, delle parole che ci lascino intendere che il nostro lavoro, se non capito, quantomeno abbia destato dell’interesse, che il nostro lavoro sia stato riconosciuto, anche un po’ di apprezzamento non guasterebbe.
I commenti tuttavia sono diventati merce rara. Un po’, secondo alcuni, è dovuto al fatto che siamo sempre più “una società a-conflittuale” e quindi non osiamo commentare per non offendere la sensibilità dell’altro, un po’, secondo altri, perché in un mondo mediato dai “social” il like è sufficiente. Non sono in grado di dire se questo sia vero o meno, ma so – sento – solo che stiamo perdendo una ricchezza, quella offerta dagli insegnamenti insiti in determinati commenti (critiche), capaci magari di sbloccare nuovi punti di vista o magari più semplicemente di fare capire che forse siamo fuori strada.